Una canzone per la lettura:
Is this how it is?
Is this how it's always been?
To exist in the face of suffering and death
And somehow still keep singing
Siano benedette le psicologhe e le terapiste, sante protettrici delle matte, delle maladattate e delle figlie del neoliberalismo patriarcal-capitalista.
A maggio saranno passati 3 anni da quando sono stata presa in carico d'urgenza da Giovanna, psicanalista che mi ha seguita nel 2021-2022. Con lei ho scavato delle buche profonde, cercando dei tesori, dei cadaveri, dei fossili e minerali. Molto di quello che cercavo è stato trovato, anche se spesso aveva forme diverse da quelle che mi aspettavo. Problemi irrisolvibili si potevano trovare tanto in profondità quanto in superficie. Cadaveri che dovevano essere ormai decomposti, erano tutt'altro che ossa.
Qualche volta siamo riuscite a tirar fuori anche qualcuno di ancora vivo e alla fine del nostro tempo insieme siamo riuscite a diseppellire anche me. Mi ha preso le mani e con le dita mi ha fatto levare il fango dalla gola, dagli occhi, dai denti.
E ancora coperta di terra, mi sono messa a correre.
Fell asleep high on a wooden table.
Gunshots in the background.
A certain German presence.
Something looked like a Decathlon gas tank.
Muslims sang in the desert. Angelic hands touched blood and ink.
Then I woke up running
Poesia scritta nel 2022, nelle mani di GV.
Dopo due anni corro ancora. Ma questa volta con Giulia, a cui mi sono rivolta quando anche la superficie mi è sembrata detestabile. Giulia a differenza di Giovanna non si occupa della mia sopravvivenza. Giulia mi aiuta a vedere che questo gioco ne vale la candela, che esiste un modo di mettersi comodi nel mondo. Mi aiuta a fermarmi e guardare. Mi aiuta a scegliere e per scegliere occorre osservare e capire cosa portare con sè e cosa abbandonare. Per correre bisogna viaggiar leggeri. Infatti, tanto del nostro lavoro assieme è dedicato alla decostruzione, all'affrontare a muso duro gli ostacoli e ostilità della superficie.
Ultimamente quel che mi preme di più è stabilire i confini oltre cui il capitalismo neoliberalista non può andare. Nel mito della costante crescita, dell'inifinita opportunità, del self-marketing mi sono trovata esausta. Mi sono trovata a chiedere perdono, di non riuscire a fare tutto, di fare tutto al meglio possibile; per essere stata troppo pigra e distratta e disordinata e sconcentrata e ingrata.
Mi sono capita e accolta meglio quando ho iniziato a pensarmi muscolo. Se un muscolo non viene nutrito ma continua ad allenarsi comunque, si consuma. Cosí mi sono trovata nel mondo, sgretolata, perché non avevo più nulla da dare se non la mia stessa materia. Mi sono accorta, raccattando pezzetti di me, che quella a cui devo le mie scuse sono io, per aver messo le richieste del mondo prima della mia stessa vita.
Quel che trovo interessante è rendermi conto che la terapia è una pratica ambivalente. Si occupa di benessere e salute e guarigione, ma è necessario chiedersi da che cosa ci si sta guarendo. In questo caso, penso di non starmi più confrontando con una malattia, quanto con uno stato di fatto. Sempre più i miei studi in linguistica mi ribadiscono che la malattia, l'inadeguatezza, la stanchezza, la rabbia, la tristezza che mi impediscono di vivere, sono dovuti al contesto sociale. Lascio qui un titolo di articolo di ricerca (Crowe, 2000. Constructing normality: A discourse analysis of the DSM-IV. Journal of Psychiatric and Mental Health Nursing, 7(1), 69–77) in cui si analizzano le basi ideologiche per diagnosi di le malattie mentali nel DSM, 4. edizione. Ció che lo studio rivela, in breve, è che la normalità contro cui si misura la malattia, è anche una costruzione, un'ideologia basata sui tratti quali PRODUTTIVITÀ, UNITÀ, MODERAZIONE e RAZIONALITÀ. Tutte misure e protocolli che servono al mondo oggi. Non alla vita.
Allora oggi mi chiedo perdono e chiedo perdono a tutto ció da cui ho tolto lo sguardo, non volendolo. Perché sono grata della mia vita e dell'esser viva e sarebbe un peccato esser uscita dalla mia tomba, solo per rinchiudermi in una gabbia. Grazie a Valentina, la mia più stretta c(u)orrispondente che mi ha fatto conoscere questa poesia di M. Gualtieri (cliccando sul titolo, un link per la sua video-performance)
Dunque si può. Dire mi dispiace
dire perdonate e ottenere il perdono,
subito. Essere del tutto ripuliti.
Nuovi. Si può. Allora perdonate.
Se ho sempre favorito me
la mia persona. Se ho pensato
d’essere migliore d’ogni altro animale.
d’ogni altro organismo vegetale.
Se ho messo me. Se ho messo me
per prima. Il capriccio di me, l’estetica di me.
Il sollievo di me.
Perdonate se non ho guardato
con la dovuta attenzione tutte le meraviglie
quotidiane. I passaggi di luce. Le stagioni.
Certe facce. O musi. Se non ho adorato
la varietà mutevole del mondo,
se non l’ho servita, protetta da me stessa,
non abbastanza cantata, fatta entrare,
appoggiata sul fondo mio a farmi
più intonata e vigile. Perdonate
Se ho riso troppo poco. Se poco ho ringraziato
per le camminate nel bosco, per quell’ebbrezza
di gambe nell’andare, accordo delle mani in ogni semplice fare.
Se non ho ringraziato
per il dolce dormire e tenerci abbracciati
sulla sponda del buio spaventoso.
Se mai ho ringraziato perché c’erano gli altri
e anzi ne ho patito la presenza e spesso
ho preferito la voce scritta dei morti.
Perdonate ogni omissione mia, la cecità
che mi ha fatto sentire ad essere buona, l’ipocrisia
con cui mi sono assolta, la misura
del mio volere bene. E se il cane
Che festeggia al mattino la mia entrata in cucina
se è per mia consolazione inviato
affinché sia alleggerita, come del resto il sole,
le arance sul tavolino, il cioccolato, il vino.
Se tutto questo è disposto e animato perché io sia migliore, più lieta-
Perdonate le mattine scure
e l’umore nero – la testa chiusa murata
nelle sue tortuose galere, la prigionia
interiore in cui mi relego, muta e scontrosa
dimentica dei doni.
Se non sono del tutto e sempre
innamorata del mondo, della vita,
sedotta e vinta dalla rivelazione
d’esserci d’ogni cosa, e d’altro
non troppo ben nascosto – dietro l’evidenza.
Questo più d’ogni altra cosa perdonate.
La mia disattenzione.
Mia cara dolce mariangela, anche la disattenzione per me stessa
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